sabato 17 gennaio 2009

La mia città


Il post di Giorgia mi ha stuzzicato a scrivere qualcosa di bello su Milano, città che spesso critico per lo smog, il traffico a volte caotico, il clima rigido d'inverno e afoso d'estate, il comportamento spocchioso di alcuni suoi abitanti, il suo sindaco che pensa troppo all'Expo e poco ai problemi dei cittadini... città, Milano, dove sono nato e in cui vivo bene, malgrado tutto.

Mi piace molto girare per Milano: a piedi, in bici, coi mezzi pubblici (specialmente in tram) e in auto... e quando sono in giro mi piace osservare i luoghi e i comportamenti delle persone.

Voglio raccontare due belle scene che mi hanno colpito lunedì scorso mentre, in auto, da Bresso, dove c'è la mia palestra andavo ad un appuntamento in viale Ripamonti: dalla periferia nord a quella sud. Un bel giro.

La prima scena si è svolta in via Fara, zona piazza della Repubblica. 
La Moratti, dopo la sceneggiata (più napoletana che meneghina in verità) della chiamata dell'esercito a ripulire le strade dalla neve, si è decisa a chiamare degli spalatori. Il gruppo che ho visto all'opera era formato da tre magrebini e sette ragazzi dell'Africa nera... tutti molto giovani, ingiubbottati contro il freddo, armati di pale e picozze che usavano non proprio magistralmente e con un espressione del volto che tradiva spaesamento.... era come se si chiedessero cosa avessero fatto di male per essere stati costretti a lasciare i loro Paesi caldi per queste lande innevate.
La situazione mi ha fatto sorridere, un po' perchè sono tornato con la memoria alla grossa nevicata del 1985 dove con due amici andammo a fare gli spalatori (in proprio, non per il comune...) e un po' perchè mi piace vivere in una città multietnica.

Credo che ci siano pochi dubbi sul fatto che Milano sia la città italiana che più si avvicina a Londra e New York come modello di multiculturalità: a molte persone questo non piace, a me, invece, esalta. 
Mi piace vivere in un palazzo che ospita una famiglia filippina, una dello Sri Lanka e  dei giovani brasiliani. Mi piace scambiare con loro due chiacchiere, due idee, due sguardi.
Mi piace lavorare con colleghi stranieri, senegalesi perlopiù... mi piace sentire le loro storie, i loro sogni, le loro tradizioni... e mi piace spiegargli un po' l' Italia, il nostro modo di vivere, la nostra lingua.
Mi piace andare nei quartieri etnici: dai cinesi in Paolo Sarpi , coi loro negozi di cianfrusaglie e i loro ristoranti buoni ed economici; dagli etiopi ed eritrei in Porta Venezia, con gli uomini in gruppo nei bar e le donne (alcune alte e altere, altre basse e grosse tipo Mami di Via col Vento, ma tutte fasciate in vestiti tradizionali coloratissimi) che si dirigono a casa coi sacchi della spesa; dai magrebini sull'asse via Vitruvio-Stazione-via Ponte Seveso, coi negozi di Kebab che fanno anche la pizza, le macellerie islamiche che mi ricordano il dipinto "la Vucciria" di Guttuso e le donne velate e sensuali.

Milano, malgrado tutti i problemi di inserimento e di convivenza che inevitabilmente nascono in situazioni del genere, è riuscita ad accogliere nei decenni passati l'immigrazione dal sud Italia: Pugliesi, Calabresi, Campani, Siciliani (fra cui i miei genitori) hanno portato in città tradizioni, culture, usi che si sono amalgamati col tempo a quelle del luogo e hanno reso la città migliore.
Ancora oggi molti dei giovani più preparati e volenterosi del nostro sud vengono qui a lavorare ( e non solo dal sud, a volte) e vengono subito integrati.
E' quello che capiterà con gli staranieri. Probabilmente ci vorrà più tempo, ma senza dubbio avremo una città ancora più bella.

La seconda scena che mi ha colpito si è svolta all'incrocio tra via Vivaio e corso Monforte. Ero fermo al semaforo rosso e girando lo sguardo a sinistra ho scoperto una tintoria.
La cosa mi ha stupito, un po' perchè sono passato da lì migliaia di volte e non ci avevo mai fatto caso e un po' per la zona: in pieno centro, a pochi passi dalla Provincia e dalla Prefettura... anche questo mi piace della città: nasconde le sue doti.

Il negozio è piccolo, una sola vetrina, con gli abiti pronti appesi al soffitto e la postazione da stiro visibile dalla strada. La signora che stirava avrà avuto sessantacinque anni, capelli bianchi curati, molto sobria ed elegante, con al collo una bella e lunga collana blu che le scendeva sul maglione. Quello che mi ha colpito è stata la sua maestria nel lavoro: stava finendo di stirare una polo blu e rossa... un colpo di vapore sul fronte... l'ha girata sul retro... altro colpo di vapore... ha piegato il lato destro e la sua manica... ha piegato il lato sinistro e la sua manica... ha piegato in due la maglietta... colpo di vapore... ha sistamato il colletto... perfetto. Il tempo di un semaforo.

Credo che sul fatto che Milano sia una delle città più laboriose d'Italia ci siano pochi dubbi.
L'adagio molto meneghino "lavoro, guadagno, chiedo, pago, pretendo", fa si che il milanese sia molto critico sulla qualità dei servizi e dei prodotti a lui offerti e, di conseguenza, molto attento ai risultati del lavoro da lui svolto.
Dai lavori più umili a quelli più qualificati il milanese si impegna mediamente più che nel resto d'Italia. Questo, insieme ad altro, si capisce, ha fatto si che le migliori università, i migliori ospedali, le case di moda più celebri, l'industria editoriale e quella dello spettacolo, il più grosso centro fieristico e le squadre di calcio più rappresentative, solo per fare pochi esempi, siano di Milano.

Il lavoro: quello che spinge le persone a venire a Milano e quello che rende la città così viva.

Forse sarebbe il caso di ricordare più spesso il primo articolo della nostra Costituzione... ma questo è un altro post... 


Vincenzo    

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