Era di tutti e di nessuno, bisognoso di cure ma molto autonomo.
Si muoveva a suo agio nella grande città, lo potevi vedere a nord e poche ore dopo a ovest, per poi rivederlo a sud-est, per poi ritrovartelo a sud.
Ma al sud stava male.
Si muoveva in metrò e pure in taxi, prendeva la filovia e il tramvai, guidava la macchina e sapeva andare in bicicletta: ma solo con le rotelle.
Guardava gli altri mangiare e poi, se rimaneva qualcosa, si serviva. Non disdegnava cucinarsi da sé e gli piaceva bere, ma mai da star male.
Gli piaceva correre sui prati, giocar con la palla e al volo saltare: così, per brio, con estro, per puro divertimento.
A volte spariva per qualche settimana e nessuno sapeva dove andasse: magari in montagna o magari al mare, chissà... sicuramente sapeva sciare, certamente era un grande nuotatore.
Da dove gli derivassero tutte queste doti e abilità non fu mai chiaro.
Si sa solo che, tra le altre particolarità, ne aveva una che forse era un dono, una sorta di visione mistica.
Capitava così, senza preavviso, senza apparente logica.
A volte al risveglio e a volte in quell'attimo eterno dell'addormentarsi.
Gli capitava a volte nel sogno e a volte in piena coscienza.
Era come se, ad una velocità supersonica, fosse stato catapultato dallo spazio siderale al suolo.
Di muso. A guardare le formiche.
Questa è la storia del cane Blues: il cane che era di tutti e di nessuno.
Vincenzo
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